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La forza nell’unità

Barbara Hebert – USA

 Barbara Hebert portrait

L’autrice

Quando pensiamo alla diversità o alle differenze che vediamo nel nostro mondo, di solito non le colleghiamo alla forza. Eppure, la diversità mette la forza a nostra disposizione. Le differenze che vediamo permettono a ciascuno di noi di scegliere il nostro cammino spirituale, di crescere a modo nostro. Grazie a punti di vista, idee e pensieri diversi ognuno di noi può scegliere, o perfino creare, il proprio percorso alla ricerca della Verità. Possiamo ricordare l’affermazione di Krishnamurti secondo cui “la Verità è una terra senza sentieri”. Come molti di noi possono confermare, ci vogliono forza e coraggio per percorrere il cammino spirituale.

Trovare la forza di percorrere il proprio sentiero, percepire la bellezza evidente nelle differenze, riconoscere l’unità intrinseca in ogni vita, tutto questo ci permette di provare un senso di affinità e unità con tutti gli esseri viventi. Apprezzare e dare valore all’unicità che si trova nel mondo manifestato porta a molti di noi felicità e gioia enormi.

Ma alcuni individui possono percepire queste differenze come una minaccia, focalizzandosi sulla separatività o sulle divergenze tra persone, credo, culture e così via. La divisione può essere definita come qualcosa che causa disaccordo o ostilità. Se ci guardiamo attorno questo contrasto sembra esistere in quasi ogni aspetto della manifestazione fisica: in quello politico, religioso, etico, morale e così via; ha allontanato famiglie, amici e colleghi.

Sentirsi minacciati da quelle che percepiamo come differenze può portare a comportamenti che variano da scortesia e maleducazione fino a crudeltà e ferocia. Mentre assistiamo a quello che sta accadendo nel nostro mondo potremmo provare un sentimento di disperazione, una perdita della speranza. È probabile che ciascuno di noi senta un certo livello di ansia per il futuro, chiedendosi se gli esseri umani impareranno mai a trattare gli altri e il mondo con amore, compassione e gentilezza, a stare insieme come un’unica umanità.

In molti casi la separatività sembra portare una forma di “pensiero di gruppo”, in cui specifici gruppi rispettano le proprie convinzioni e nessun’altra. In particolare, le idee e i punti di vista dell’“altro” non trovano spazio nel mondo di questi gruppi. Questa divisione ha portato molti a provare paura, animosità e perfino odio per “l’altro”, indipendentemente da chi “l’altro” possa essere. Da questi sentimenti intensi possono nascere comportamenti terribili e atroci, che possono essere facilmente definiti “la disumanità dell’umanità”.

Non dobbiamo guardare lontano per trovare degli esempi: a partire dal pronunciare commenti denigratori su un gruppo in particolare, o postare foto o dichiarazioni offensive sui social media, passando per l’intolleranza verso le differenze di genere, i diritti umani in tutti gli ambiti, la giustizia sociale, l’immigrazione, fino ad arrivare, all’altro estremo dello spettro, alla guerra, alla vittimizzazione, alle persone brutalmente picchiate e uccise, ad altre che sono fatte morire di fame o lasciate perire in condizioni disumane. E potrei continuare. Non mi piace portare alla nostra attenzione questi argomenti, ma è essenziale che siamo consapevoli della disumanità che può diventare manifesta quando esiste la divisione. È parte del mondo in cui viviamo. Dobbiamo comprenderlo, se vogliamo far parte della soluzione.

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Ken Wilber

Ken Wilber, noto scrittore, relatore e psicologo transpersonale, tratta dell’argomento in modo molto chiaro, scrivendo:

Il fatto semplice è che viviamo in un mondo di conflitti e opposizioni perché viviamo in un mondo di confini. Dato che ogni linea di confine è anche una linea di battaglia, ecco la difficile situazione umana: più solidi sono i propri confini, più radicate sono le proprie battaglie. Più mi aggrappo al piacere, più provo dolore; più perseguo il bene, più sono ossessionato dal male. Più cerco il successo, più devo temere il fallimento. Più mi aggrappo alla vita, maggiore è il mio terrore per la morte. Più apprezzo qualcosa, più divento ossessionato dalla sua perdita. In altre parole, la maggior parte dei nostri problemi riguarda i confini e gli opposti che essi creano.

Notate il numero di volte in cui Wilber ha usato la prima persona singolare. L’“io” è il fulcro in un mondo di conflitto. Quando percepiamo il mondo in questo modo, cioè come una serie di “Io contro te” o “noi contro loro”, allora viviamo in un mondo pieno di paura. Dal punto di vista psicologico, quando noi esseri umani ci sentiamo vulnerabili o impauriti tendiamo a usare la rabbia come autodifesa. Ci mettiamo in una posizione di difesa quasi automaticamente, così da poter “conservare quello che è nostro”. Qui non ci sono concetti come l’unità o la connessione, ma piuttosto vediamo “l’altro” come un pericolo potenziale e agiamo da questo luogo di separatività e divisione. Sembra che, quasi ovunque guardiamo, possiamo trovare frange, piccole o grandi, di individui che odiano o hanno paura di altri gruppi, perché potrebbero portare via “quello che è nostro”.

Vogliamo che il mondo sia un luogo di pace, accettazione e compassione. Vogliamo vivere in un mondo dove non si giudica in base al colore della pelle, alla religione o tradizione spirituale, al sistema di credenze, il modo in cui ci si auto-identifica e così via. Vogliamo vivere in un mondo di giustizia sociale ed equità. In altre parole, vogliamo trasformare radicalmente il mondo, non è vero?

Come possiamo farlo? Iniziando da noi stessi. Sembra paradossale che per cambiare il mondo dobbiamo cambiare noi stessi, ma la Saggezza Senza Tempo ci fornisce le basi per questa affermazione.

Se la coscienza unisce ciascuno di noi, che siamo radicati in questa Coscienza Assoluta, allora quando uno di noi cambia, crea un mutamento nel tutto.

Prendiamo un bicchiere d’acqua: se una goccia di inchiostro blu viene versata all’interno, la vediamo mulinare per qualche istante e poi dissolversi. Ma se aggiungiamo altre gocce pian piano l’acqua inizierà a cambiare colore. Se pensiamo all’acqua come alla Coscienza Assoluta e alle gocce di inchiostro come ai cambiamenti fatti dai singoli individui, allora capiamo che, un giorno, tutto il bicchiere d’acqua sarà blu. La coscienza di tutti sarà trasformata.

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Radha Brunier e un cane pranzano sulla terrazza della St. Michael’s House al Centro Teosofico Internazionale di Naarden in Olanda (agosto 1995).

Radha Burnier, già Presidente della Società Teosofica, afferma: “Il tema della trasformazione [umana] è molto importante perché un cambiamento davvero epocale nella storia dell’umanità avverrà solo quando ci sarà un cambiamento rivoluzionario nell’essere umano. Probabilmente, per provocare un cambiamento radicale nel corso della storia umana, è necessario che un numero sufficiente di esseri umani cambi” (p. 3). Cosa intende quando parla di un cambiamento rivoluzionario o radicale in ciascuno di noi? Può aiutarci questa citazione di Krishnamurti: “Per trasformare il mondo dobbiamo iniziare da noi stessi; e quel che è importante per cominciare da noi stessi è l'intenzione. L'intenzione deve essere quella di comprendere noi stessi e di non lasciare agli altri il compito di trasformare loro stessi o di cambiare le cose attraverso la rivoluzione, che sia di sinistra o di destra. È importante capire che questa è la nostra responsabilità, la vostra e la mia…” (1948).

Quindi la nostra responsabilità, secondo Krishnamurti, sta nella volontà di comprendere noi stessi e poi apportare i cambiamenti necessari. Possiamo fare questo attraverso l’auto-osservazione oggettiva. Cosa pensiamo, sentiamo, diciamo o facciamo? Qual è l’intento dietro i nostri pensieri, sentimenti, parole e azioni?

Siamo coerenti? Ovvero, tali pensieri, sentimenti, parole e azioni corrispondono al nostro sistema di credenze? Sono in linea con il nostro desiderio di cambiamento in noi stessi e pertanto nel mondo? Questo può sembrare molto semplice, eppure è forse una delle imprese più difficili che ognuno di noi potrà mai affrontare. È il lavoro della nostra anima nella manifestazione fisica.

Può essere utile esplorare brevemente una prospettiva spirituale o metafisica concentrandoci sui pensieri. Da questo punto di vista i pensieri e i sentimenti che sentiamo, o forse dovremmo dire che creiamo, ci accompagnano. Non li vediamo, ma esistono. Grazie alla scienza sappiamo che tutto è energia, pertanto i nostri pensieri e sentimenti sono energia, anzi li potremmo definire meglio come vibrazioni energetiche; queste ultime emanano da noi nell’ambiente circostante, hanno un impatto su di noi e su coloro che ci stanno accanto fino ad arrivare all’intero campo mentale di coscienza.

Nella lettera n. 18 (in ordine cronologico) il Mahatma K.H. scrisse ad A.P. Sinnett: “I pensieri sono cose – hanno tenacia, coerenza e vita – sono delle entità reali”. Un’ulteriore spiegazione di questo concetto si può trovare in un’altra lettera: “Ogni pensiero [di un individuo] una volta evoluto passa nel mondo interiore e diventa un'entità attiva associandosi – coalizzandosi, potremmo dire – con un elementale; vale a dire con una delle forze semi-intelligenti dei regni. Sopravvive come un’intelligenza attiva, una creatura generata dalla mente, per un periodo più o meno lungo in proporzione all’intensità originaria dell’attività cerebrale che l’ha creata. Quindi un pensiero buono è perpetuato come un potere benevolo attivo; uno cattivo come un [potere] maligno. E quindi [un individuo] popola continuamente la sua corrente nello spazio con un mondo tutto suo, affollato dei frutti delle sue fantasie, dei desideri, degli impulsi e delle passioni…” (Appendice I, quarta edizione cronologica).

In altre parole, “popoliamo il nostro mondo” con i nostri pensieri e sentimenti. Pensieri e sentimenti forti, ripetuti con intensità e intenzionalità, creano forme pensiero nei mondi invisibili. Pertanto, indipendentemente dal fatto che i nostri pensieri e sentimenti siano benefici o malefici, diamo loro forma, influenzando ancora una volta noi stessi, coloro che ci circondano e, in definitiva, la coscienza dell’umanità.

Sembra lecito ritenere che tutti noi desideriamo creare forme pensiero che incarnino amore, compassione, comprensione e gentilezza; tuttavia, possiamo supporre anche che a volte inviamo pensieri che non sono molto utili: siamo bloccati nel traffico e qualcuno ci taglia la strada mettendosi davanti a noi e così via. I pensieri e i sentimenti ad essi associati possono manifestarsi così rapidamente che spesso non ne siamo consapevoli. Comunque se vogliamo cambiare radicalmente noi stessi e il mondo dobbiamo divenire consapevoli di quello che sta avvenendo.

Per trasformare noi stessi dobbiamo innanzitutto identificare i cambiamenti da fare e poi metterci all’opera: modificando i nostri pensieri, i nostri sentimenti, i nostri comportamenti. Cambiamo questi aspetti della personalità che non sono coerenti con il nostro sistema di credenze in qualcosa che lo è.

Come sappiamo tutti, il cambiamento non può avvenire nel giro di una notte. È per questo che la nostra auto-trasformazione è un processo. Dobbiamo esercitarci. A volte falliremo e dovremo rialzarci e ricominciare. Ma alla fine un nuovo modo di pensare, comportarci, parlare e agire diventerà una parte di ciò che siamo.

Quanto tempo occorrerà? Krishnamurti dice: “Più conosci te stesso, più chiarezza c’è. L’auto-conoscenza non ha fine… non arriverai a un risultato, a una conclusione, è un fiume senza fine” (1949). La trasformazione è un processo che ci porterà, come dice Radha Burnier, “dall’egoismo all’unità… Questo cambiamento fino alla comprensione dell'unità è rivoluzionario, fondamentale. Esso è […] molte cose. È passare dall’egoismo all’altruismo, dal conflitto (interiore ed esteriore) alla pace, dalla bruttezza (e ce n’è molta dentro di noi) alla bellezza e all’armonia. È un cambiamento da uno stato di ignoranza a uno di saggezza” (p. 13). Pertanto, se vogliamo cambiare il mondo, dobbiamo iniziare a cambiare noi stessi.

Se crediamo che tutto sia radicato in quello che potremmo chiamare l’Assoluto (o l’Infinito, l’Universo, Dio, Allah, Jeovah, Parabraham, ecc.), allora comprendiamo che tutto e tutti sono connessi alla Sorgente. I semi dell’esperienza guadagnati da ciascuno di noi diventano parte dell’Assoluto. Ciò significa, se ci pensiamo bene, che quello di cui io faccio esperienza (e da cui, si spera, imparo) diventerà parte della coscienza di tutti gli esseri. Significa anche che essere arrabbiati con qualcuno è come esserlo con noi stessi. Ma è vero anche il contrario: essere arrabbiati con noi stessi è come esserlo con la vita tutta.

Mentre ciascuno impara attraverso l’esperienza ad essere compassionevole e amorevole verso gli altri, viene influenzata la coscienza di tutti gli esseri. Questo ci può far pensare all’affermazione di Radha Burnier sopra riportata, al bicchiere d’acqua e all’inchiostro o all’effetto della centesima scimmia. Leggiamo dal sito internet dedicato:

La centesima scimmia è una bellissima metafora per un fenomeno che viene sempre più provato scientificamente. Si tratta di un punto di svolta in cui basterebbe solo un’altra persona dotata di consapevolezza per chiudere il cerchio o completare il progetto per tale conoscenza. E quindi tutti possono accedere alla coscienza collettiva per ‘scaricare i dati’. Potrebbe non essere la centesima scimmia o persona a spostare l’equilibrio verso una nuova realtà e paradigma, ma potrebbero volercene 300 milioni o perfino 3 miliardi. Il punto è che abbiamo bisogno di più persone che siano sul limitare, alla frontiera del cambiamento di pensiero, soprattutto in questo periodo.

Mentre ognuno di noi cerca di incorporare compassione e amore nella propria vita, stiamo spostando l’umanità verso quel punto critico in cui questi pensieri e sentimenti diventano parte della Coscienza Assoluta nella quale siamo tutti radicati.

Attraverso il processo di auto-trasformazione ci avviciniamo alla consapevolezza dell’unità di tutti gli esseri. Mentre iniziamo a cogliere piccole intuizioni sulla realtà della coscienza unitaria, siamo pervasi di amore per tutti. Si tratta dell’amore dell’agape, quello che trasuda comprensione ed empatia per l’umanità intera, la forma di amore più elevato che ci porta oltre l’egocentrismo, verso l’altruismo.

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Richard Rohr

Richard Rohr, fondatore del Center for Action and Contemplation, paragona la coscienza unitaria o Assoluta con l’amore, e non un tipo di amore qualsiasi ma quello più profondo, che ci permette di allontanarci dalla prospettiva separativa a favore di quella unitaria. Ci dice che “l’auto-coscienza (nell’accezione negativa) lentamente svanisce e viene sostituita da quella che i mistici chiamano pura coscienza o coscienza unitaria, che è l’amore”.

Riferimenti

Burnier, Radha, (1990), Human Regeneration, Amsterdam, Uitgeverij der Theosofische Vereniging in Nederland.

Chin, Vic Hao, (1972), The Mahatma Letters to A.P. Sinnett: in Chronological Sequence, Wheaton, IL, Quest Publishing House.

Hundredth Monkey, https://www.hundredthmonkey.org/100th-monkey-effect/

Krishnamurti, Jiddu, (1948), Bangalore 2nd Public Talk. Clicca QUI

Krishnamurti, Jiddu, (1949), “Does Self-Knowledge Come Through Searching?” Public Talks, Ojai, CA, Clicca QUI

Rohr, Richard, (2016), “Unitive Consciousness”, tratta da https://cac.org/daily-meditations/unitive-consciousness-2016-03-08/

Wilber, Ken, (2001), No Boundary: Eastern and Western Approaches to Personal Growth, Shambhala Press.

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